Per le Sezioni Unite la non punibilità per particolare tenuità del fatto non si applica ai procedimenti di competenza del Giudice di Pace

Per le Sezioni Unite la non punibilità per particolare tenuità del fatto non si applica ai procedimenti di competenza del Giudice di Pace
21 Dicembre 2017: Per le Sezioni Unite la non punibilità per particolare tenuità del fatto non si applica ai procedimenti di competenza del Giudice di Pace 21 Dicembre 2017

Nel 2015 il legislatore ha introdotto nel nostro Codice penale, con l’art. 131 bis c.p., una nuova causa di non punibilità per i reati sanzionati con la pena non superiore nel massimo a cinque anni, quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, l’offesa è stata di particolare tenuità ed il comportamento dell’imputato non è risultato abituale.

L’introduzione di questa disposizione, con chiaro intento deflattivo, essendo applicabile anche prima del rinvio a giudizio, con conseguente archiviazione della notizia di reato, ha tuttavia suscitato notevoli dubbi sul suo preciso ambito di applicazione.

In particolare, magistrati ed avvocati si sono domandati a lungo se la disposizione in questione potesse ritenersi applicabile anche ai giudizi avanti al Giudice di pace, nonostante il d.lgs. 274/2000 preveda già all’art. 34 l’esclusione della procedibilità per particolare tenuità del fatto.

Le stesse sezioni IV e V penali della Corte di Cassazione non hanno dato una soluzione univoca, affermandone a volte l’inapplicabilità (Cass. pen., sez. V, sent. 54173/17; Cass. pen., sez. V, sent. 55039/16; Cass. pen., sez. V, sent. 47518/17) ed altre volte l’applicabilità (Cass. pen., sez. V. sent. 15579/17; Cass. pen., sez. V, sent. 9713/17; Cass. pen., sez. IV, sent. 40699/17).

Il primo orientamento, infatti, attribuisce all’art. 34 d.lgs. 274/2000 valore di norma speciale attraverso la quale si manifesterebbe la “finalità conciliativa” che caratterizza la giurisdizione penale del Giudice di pace.

Le due fattispecie in questione, secondo questo orientamento, presentano parecchi elementi differenziali, trattandosi peraltro in un caso di una causa di non procedibilità (come potrebbe essere la mancanza agli atti di una querela) e nell’altro di una causa di non punibilità, basata su un mera scelta di politica criminale (come nel caso previsto dall’art. 649 c.p. per il fatto commesso a danno dei congiunti).

Inoltre, la disciplina prevista dall’art. 34, diversamente dall’art. 131 bis, attribuisce alla persona offesa una “facoltà inibitoria” all’applicazione della non procedibilità non prevista.

L’opposto orientamento, invece, afferma che proprio l’assoluta diversità dei due istituti giuridici in questione consentirebbe di ravvisare ambiti di applicazione separati e concorrenti, potendo il Giudice di Pace trovarsi a constatare l’assenza dei requisiti specifici e più stringenti previsti per l’operatività dell’art. 34, e invece la ricorrenza di quelli (più permissivi) per l’applicazione dell’ art. 131 bis.

Non osterebbe a tale conclusione il principio di specialità, atteso che le due norme non si troverebbero in rapporto di genere a specie.

In questa situazione di contrasto giurisprudenziale, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 53683/17, sono definitivamente intervenute, aderendo al primo dei descritti orientamenti.

Secondo i Giudici di Piazza Cavour, infatti, mentre l’art. 131 bis c.p. persegue una chiara finalità deflattiva, l’art. 34 d.lgs. 274/2000, invece, pone in un ruolo centrale la persona offesa (e la sua volontà conciliativa), attribuendole addirittura un potere di veto alla dichiarazione di non procedibilità.

Data l’assoluta diversità delle norme in questione, quindi, la ricerca di un eventuale rapporto di specialità ex art. 15 c.p. non è in grado di dare un risultato soddisfacente ed una chiave di lettura delle due disposizioni, “essendo, ognuno dei due precetti, portatore di elementi specializzanti che valgono, semmai, a qualificarlo come rapporto di “interferenza””.

La sostanziale diversità di regolamentazione dei due istituti in esame, infatti, “non chiama in campo automaticamente – e, ciò, in senso difforme rispetto quanto sostenuto dall’orientamento qui disatteso – né il principio di specialità come criterio di risoluzione del concorso apparente fra due discipline riguardanti lo stesso oggetto, né il principio della necessaria operatività, anche nel procedimento dinanzi al giudice di pace, del precetto introdotto dal legislatore del 2015 con riferimento al processo comune, inteso come lex mitior soggetta alla disciplina intertempo lare di cui all’art. 2 cd. pen.”.

Ai sensi e per gli effetti dell’art. 16 c.p., infatti, “la ricerca dell’interprete a fronte dell’introduzione di un nuovo modello normativo – quale l’art. 131 bis c.p. -, avente ad oggetto la stessa materia già regolata in modo completo dall’art. 34 del detto decreto, non può limitarsi al raffronto fra quest’ultimo e il predetto successivo, ma deve elevare il proprio orizzonte fino verificare se la legge penale speciale nel suo complesso non contenesse già un’autonoma disciplina della materia, mirata rispetto alle finalità del procedimento e tale perciò da precludere, a priori, l’operazione del confronto fra le singole leggi o disposizioni sulla stessa materia, espressamente disciplinata dall’art. 15 c.p., con riferimento al rapporto fra più leggi penali … con la conseguenza che non è dato tentare di istituire una correlazione tra le singole componenti della costellazione punitiva, sostanziale e processuale, del giudice di pace, isolatamente considerate, quanto piuttosto è doveroso valutarle in ragione del loro inserimento in un sistema diversamente strutturato nel suo complesso, quale appunto, quello dinnanzi al giudice di pace”.

Pertanto, la Corte ha concluso affermando che “la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131 bis c.p., non è applicabile nei procedimenti relativi a reati di competenza del giudice di pace”.

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